L'Alzheimer e l'importanza del sole e della vitamina D. Chi vive al Nord e in zone poco soleggiate correrebbe un rischio maggiore di ammalarsi di Alzheimer. La carenza di sole – e la scarsa esposizione al sole – impedisce al nostro organismo di sintetizzare naturalmente la vitamina D.
E proprio la vitamina D sarebbe correlata a un rischio minore di ammalarsi di Alzheimer. Si tratta di quanto emerge da uno studio dell'Università di Edimburgo condotto di recente dai ricercatori scozzesi.
Gli esperti hanno preso in considerazione gli studi precedenti che già dimostravano come bassi livelli di vitamina D potessero aumentare il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Secondo le analisi dei ricercatori, è possibile suddividere l'incidenza della malattia in aree geografiche.
Pare che chi vive al Nord abbia una probabilità superiore di tre volte di sviluppare la malattia rispetto a chi vive al Sud. E' necessario notare che gli esperti hanno esaminato i dati che riguardano gli abitanti scozzesi e hanno preso in considerazione il luogo della Scozia, più o meno soleggiato, in cui vivevano.
"Nella prima parte dello studio abbiamo sequenziato cinquanta persone, 23 pazienti di Alzheimer e 23 soggetti sani, e gli altri in fase di transizione. Sono stati così identificati 16 microRNA su 1.400 che erano mutati nei pazienti di Alzheimer. Quindi abbiamo eseguito un secondo studio, nei casi in cui non conoscevamo la diagnosi dei partecipanti... Abbiamo poi eseguito l'imaging cerebrale di questi partecipanti e abbiamo potuto stabilire quali soffrivano della condizione e quali no. Speriamo che i test possano anche aiutare nelle sperimentazioni cliniche e verificare l'efficacia di nuovi farmaci" – hanno spiegato gli esperti.
La minore esposizione al sole e la carenza di vitamina D potrebbe dunque rientrare tra le cause dello sviluppo dell'Alzheimer e dell'aumento del rischio di contrarre la malattia. Sarebbe interessante sapere se i risultati riscontrati per la Scozia siano validi per tutto il mondo e se chi vive in zone molto soleggiate, almeno per quanto riguarda il fattore vitamina D, possa sentirsi al sicuro. Lo studio in questione è stato pubblicato sulla rivista Neurology.
Marta Albè
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